Riportiamo il discorso del Sindaco (ripreso dal sito del Comune di Cormano) al Parco Nord davanti al Monumento al Deportato.
Memoria, odio e dignità umana
Roberto Cornelli – discorso alla celebrazione del Giorno della memoria al Parco Nord Milano, Monumento al Deportato, 25/01/2014.
La celebrazione del 27 gennaio ha come imperativo etico il dovere della memoria: si deve ricordare per far sprigionare dalla memoria – in tutta la sua tragicità agghiacciante e in tutta la sua straordinaria molteplicità – insegnamenti e messaggi essenziali per la costruzione del futuro.
Per evitare di perdere la memoria come bene comune, allora:
è necessario e vitale rievocare gli eventi storici (le leggi razziali, le discriminazioni, la dittatura, le deportazioni, gli stermini, anche in forma delle milioni di storie di vita), ma non basta;
è necessario e vitale contrastare la disinformazione, il negazionismo, il revisionismo, ma non basta;
è necessario e vitale imprimere nelle esperienze e nelle emozioni dei visitatori dei campi di sterminio l’orrore che in quei luoghi è accaduto, ma non basta;
è necessario e vitale coltivare l’interesse e la ricerca per ciò che ancora quegli anni ci nascondono, ma non basta.
Tutto ciò è necessario e vitale, ma non basta.
Perchè la storia è fatta delle sue ricostruzioni e ciascuna ricostruzione sostiene la nascita di identità collettive, di un modo di essere, di pensare e di agire. Queste ricostruzioni s’inscrivono nelle ideologie che pensano al futuro della società e nei progetti politici che, nella pratica, tendono a quel futuro.
E allora il problema non è solo quello di evitare in tutti i modi che si perda la memoria, evocando fatti storici tragici e ampliando la conoscenza sugli anni del fascismo, del nazionalsocialismo e della guerra, ma è anche di mettere la memoria di quegli anni a fondamento di un progetto politico per l’oggi e per il domani.
Come?
Per esempio non smettendo di riflettere e, anzi, avendo il coraggio di affrontare fino in fondo alcuni nodi che ci riguardano come donne e uomini, come cittadini di società democratiche e come costruttori di un futuro più giusto.
Primo Levi ha scritto per i visitatori del campo di Auschwitz queste parole: “Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano da ammonimento: fa’ che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai”.
Ed ecco il primo nodo che ci riguarda tutti.
Perché si arriva a odiare un proprio simile a tal punto da volerlo annientare? Quali fatti, quali discorsi, quali leggi, quali luoghi, quali ideologie veicolano ancora oggi l’accettabilità dell’odio nelle relazioni tra persone?
Una cosa è certa, la storia non si ripete mai uguale e se vogliamo evitare che l’odio semini ancora la distruzione dell’essere umano, allora occorre guardare anche ad altre ideologie, altri discorsi, altre pratiche, oltre a quelle nazi-fasciste, in alcune delle quali magari siamo già inconsapevolmente immersi e che, silenziosamente, nel disinteresse dei più, ci stanno già portando a forme di odio e violenza intollerabili.
Cinque anni fa parlai qui, durante le celebrazioni del Giorno della Memoria, proprio come faccio oggi, dei centri di permanenza temporanea per stranieri irregolari, lanciando un ammonimento sugli esiti disastrosi a cui stavano portando le politiche della paura. Non tutti presero bene la mia incursione nell’attualità, che purtroppo negli anni seguenti prese una piega che portò all’emanazione di norme apertamente razziste (come l’aggravante della clandestinità e il reato stesso di clandestinità) dichiarate poi costituzionalmente illegittime. Oggi, dopo che molti di questi luoghi di detenzione amministrativa sono emersi agli onori della cronaca come luoghi di gravi violazioni dei diritti umani, le mie parole suonano meno lontane.
Eppure è necessario cogliere per tempo, sotto l’apparente buon senso e razionalità di certe soluzioni, i segni di quei processi di disumanizzazione che anticipano fenomeni di violenze collettiva e rischiano di sostenere ideologie dell’esclusione e dell’annientamento. Bisogna cogliere questi segni prima che compiano il loro tragico destino.
Ed è anche per questo che alla Ministro della Repubblica Cécile Kyenge va tutta la nostra solidarietà per i continui gravi episodi di razzismo di cui è vittima. Gli attacchi a lei che è Ministro nascondono anche la pervasività di un’ideologia che compie già nella quotidianità soprusi, discriminazioni istituzionali e violenze. Sono segnali che non possiamo derubricare a “battute” o “slogan”, ma che grazie alla memoria del passato dobbiamo riconoscere nella loro potenzialità distruttiva.
Non ci si può, non ci si deve abituare a questi modi di pensare e di agire.
Negli anni Settanta la giornalista Gitta Sereny (In quelle tenebre, Adelphi, 1975), durante alcuni colloqui con Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka, in Polonia, tra il 1942 e il 1943, gli pose una domanda cruciale: “Sarebbe giusto dire che alla fine sentiva che in realtà quella gente non erano esseri umani?”.
Ed ecco la tragica risposta di Stangl:
“Una volta, anni dopo, in Brasile, ero in viaggio, il mio treno si fermò accanto ad un mattatoio. Il bestiame nei recinti, all’udire il rumore del treno, trottò avvicinandosi alla barriera per guardare il treno. Erano vicinissimi al mio finestrino, si spingevano l’un l’altro e mi guardavano attraverso la barriera. In quel punto pensai: guarda, mi ricorda la Polonia; era proprio così che appariva la gente, piena di fiducia,un momento prima che finisse nelle scatole… Dopo d’allora, non riuscii più a mangiare carne in scatola. Quei grossi occhi… che mi guardavano… senza sapere che di lì a poco sarebbero stati tutti morti. Bestiame, semplicemente del bestiame”. Stangl poi proseguì: “Vede, raramente li vedevo come individui. Per me era sempre e soltanto un’enorme massa. A volte stavo in piedi sopra il muro, e li vedevo nel tubo. Ma – come posso spiegarlo – erano nudi, assiepati, e correvano sotto le sferzate”.
I più atroci genocidi, anche recenti, si sono nutriti di slogan che proiettavano sul nemico un’immagine disgustosa e de-umanizzante; si pensi alle frasi d’incitamento al massacro dei Tutsi, definiti dagli Hutu come scarafaggi, e pronunciate fino all’ossessione da Radio Télévision Libre des Mille Collines del Rwanda, alle soglie del genocidio avvenuto nel 1994.
Occorre, dunque, riconoscere subito quei modi di pensare e agire che sviliscono, ridicolizzano e negano l’umanità di altre persone. Lì si annidano quei pensieri che sostengono ideologie e politiche fondate sulla paura e sull’odio.
A fronte di tutto ciò, non c’è alternativa: la memoria deve servire alla costruzione di percorsi individuali, sociali e politici che mettano al centro costantemente e continuamente la dignità umana.
Occore, cioè, riflettere attentamente sulla questione democratica, non pensando che lo sbandieramento del termine “democrazia” risolva di per sè le contraddizioni che esso cela e che la storia del passaggio dalle democrazie alle dittature nazifasciste ci ha mostrato.
Per fare questo la Costituzione repubblicana è una bussola fondamentale per dare dignità alle donne, agli uomini e ai bambini. Facciamo che col nostro impegno continui a esserlo.
Roberto Cornelli