Mi è stato chiesto di ricordare Eugenio Cassanmagnago, storico sindaco di Cormano, scomparso lo scorso 22 settembre, dopo una lunga lotta contro una malattia sfiancante, all’età di 90 anni.
È difficile per me, così distante da lui per età e personale storia politica, così vicino per l’amicizia di cui mi ha voluto onorare negli ultimi anni della sua vita e per la comune adesione al Partito Democratico, pensare di darne una compiuta rappresentazione.
Per questa ragione ho voluto coinvolgere Mariagrazia e Walter De Bernardi, da sempre amici di Eugenio e della compianta moglie Franca, che in occasione delle esequie funebri hanno ricordato i tratti salienti della sua vicenda personale e politica.
Ecco quindi alcuni miei pensieri “sparsi” sulla testimonianza di vita del “mitico” Cassanmagnago.
Eugenio da subito colpiva per il dialogo del tutto privo di accezioni ideologiche e di pregiudizi, essenzialmente disinteressato al “dì che colore politico sei”. Non era debolezza, semmai il contrario. Più che assillato dall’idea di convincere, era desideroso di confronto, sulla base di argomentazioni logiche e a partire da dati obiettivi, senza superiorità ma senza neppure cedimenti rispetto ai propri profondi convincimenti.
Delle esperienze che avevano contrassegnato profondamente la sua vita si confidava spesso. In particolare, della sua scelta – da giovanissimo – di aderire all’ideale comunista e di contribuire direttamente alla lotta per la liberazione dell’Italia dal giogo fascista. Non ricordo di specifici episodi della lotta partigiana, di cui pure Eugenio era stato protagonista, o di racconti eroici di imprese d’armi o della clandestinità. Salvo, su quest’ultimo aspetto, sottolineare il ruolo che la Marina Militare – il corpo militare meno fascistizzato, come ricordava sovente – ebbe nel dargli iniziale copertura e contribuire a garantirgli inizialmente un sicuro riparo verso il confine orientale del Paese. Non che la Resistenza non fosse stata esperienza di vita fondamentale, tutt’altro, col suo gravoso carico di sofferenze e di straordinarie speranze. Piuttosto ricorrevano nei suoi racconti gli incontri con le tante persone che avevano condiviso, in carne ed ossa, le sue stesse scelte, sebbene spesso provenienti da luoghi dell’esistenza anni luce distanti dai suoi. Fra questi, ricordava spesso alcune figure di sacerdoti e di laici cattolici, che avevano chiesto accoglienza o che gliel’avevano data, sempre nella comune prospettiva della liberazione dall’oppressore fascista.
Centrale era anche il rapporto con i suoi genitori, solo in un secondo momento resisi conto delle scelte del figlio Eugenio. Nel rapporto con la famiglia riecheggiava quello con la natia Brianza, terra “bianca” ed anticomunista per definizione. Si compiaceva nel ricordare come anche la “sua” Brianza sapeva premiare elettoralmente il PCI, quando il partito riusciva a “collegarsi” – come avvenne negli anni ’70 in occasione di elezioni amministrative – con le profonde attese di quel pezzo di terra lombarda.
Naturalmente, con Eugenio non si riusciva mai ad evitare il confronto sui temi politici. Ci teneva spesso a rammentare che la buona politica unisce un’integerrima vita morale personale ad una forte etica pubblica. Ne era riprova la direttiva dell’organismo centrale del PCI, che, negli anni ’50, raccomandava severi criteri di selezione dei dirigenti comunisti, anche in punto di moralità nelle proprie condotte di vita, per potere al meglio concorrere rispetto agli altri avversari politici. Ancora di più, è stata la vita stessa di Eugenio e di Franca ad incarnare l’ideale di una politica capace di totale disinteresse verso il potere e la ricchezza, e di puro servizio nella prospettiva del bene comune.
Più che il paradigma ideologico, Eugenio riteneva che ad orientare la politica nella concreta vicenda storica fossero i partiti politici e, fra questi, in particolare, quel Partito Comunista Italiano di cui, nell’immediato dopoguerra, tra i fondatori e “diffusori” in Milano ed in generale in tutto il settentrione. Seguendo questa dinamica, fondata sulla centralità della comunitá-partito e delle persone in esso operanti, e quindi mutevole come le vicende storiche, Eugenio non ha avuto difficoltà ad accedere all’esperienza del Partito Democratico. In ciò, forse, senza differenza alcuna dal “suo” PCI, il Partito Democratico doveva mirare ad un progressivo allargamento sociale e ad un coinvolgimento di sempre nuovi segmenti della comunità, a partire dal dialogo fra cattolici e sinistra. Il partito doveva poi coinvolgere sempre più persone scolarizzate e laureati, perché dalla formazione scolastica e dalla preparazione culturale delle nuove generazioni sarebbero dipese la forza e la continuità del partito, nonché l’attitudine al discernimento di questo delle nuove tessiture della storia. E’ sempre stato il primo a volere rinnovare l’annuale adesione al partito, con una volontà ed una determinazione che crescevano con l’avanzare dell’età e con l’aggravarsi delle condizioni di salute.
Si appassionava nel narrare della sua esperienza di sindaco di Cormano. Ricordava con puntiglio le persone che aveva incontrato come amministratore pubblico. Di questi conosceva ancora – uno per uno – la vicenda personale e la vita dei loro familiari: segno di un’attenzione vivissima alla concreta realtà delle persone, di-tutte-nessuna-esclusa!, e della collocazione delle stesse nell’ambito della comunità cittadina. Ancora pochi giorni prima di lasciarci, voleva conoscere le “ultime” sull’Amministrazione comunale, sulle difficoltà nel governo della cosa pubblica e sui progetti in corso. Naturalmente ne aveva sempre una da suggerire. Si è sempre considerato totalmente radicato nella storia della sua comunità di adozione, come pure di quella d’origine, e mai è venuto meno il suo interessamento, neppure quando ne era stato messo – volente o nolente – ai margini.
E’ luogo comune che Eugenio fosse di carattere austero e rigoroso, talora al limite della spigolosità. Certamente non te le mandava a dire, come è capitato a me in particolare in quest’ultimo anno. Mai, tuttavia, senza rispetto e per mera banalizzazione del rapporto interpersonale. E’ sempre stato vero il contrario: proprio la passione verso le persone gli impedivano di vivere superficialmente ed ipocritamente, con tutte le false “rotondità” di rapporto che questo comporta, le relazioni con gli altri.
Che dire di più, se non piangere.
Addio, compagno Cassanmagnago. Arrivederci, amico Eugenio.
Gianluca Bracchi