Ripartiamo dal Partito Democratico

Ci siamo detti tanti volte che così si fa fatica, che le cose non funzionano. Lo dimostrano le tante sconfitte elettorali, alle volte ingiuste e alle volte più che meritate; ma alla fine dei conti, sempre di sconfitte si parla. E se è vero che non è possibile fermarsi davanti il fallimento, è altrettanto vero che è necessario dirsi le cose con franchezza. Senza conte interne, senza processare nessuno: ma dicendoci con sincerità che c’è bisogno di chiarezza, di una linea e di dirci chi siamo e dove si vuole andare.
Lo dobbiamo ai tanti nostri militanti, ai nostri elettori, ai nostri simpatizzanti e a tutti coloro che si sono spesi e si spendono nei territori. Lo dobbiamo anche alla nostra storia, che è più profonda e ricca dello spettacolo che stiamo dando in questi mesi.

E non parlo di allearsi o meno con i 5 Stelle, su cui si potrebbe discutere all’infinito; ma è proprio sul fatto che non sappiamo più discutere che dobbiamo fare mea culpa. Due assemblee nazionali in cui, di fatto, si sceglie di non decidere è una cosa inaudita e grave. Abbiamo degli organi democratici, con i propri riti e i propri processi. Ma per riconquistare le persone, questi devono essere capaci di dettare la linea, non semplicemente essere il luogo in cui si consumano battaglie tra correnti – che da tempo hanno smesso di essere incubatori di pensiero e visioni del mondo – in cui nessuno vince.

Probabilmente è questo che maggiormente ci dobbiamo rimproverare: dopo il 41% delle europee abbiamo interrotto il dialogo con chi è al di fuori del nostro perimetro, riducendoci a parlare sempre e solo di noi, quando lì avremmo dovuto avere il coraggio di aprirci ancora di più e dare veramente una svolta alle cose. Perché se è vero che il paese sta generalmente meglio, è altrettanto vero che la sensazione di insicurezza – sociale, economica, di prospettiva – è cresciuta. E questo è un sentimento che, prima di essere capito, va rispettato. Non basta snocciolare numeri, indubbiamente positivi, sugli indicatori economici per dirci che va tutto bene: dietro ai numeri vanno capite le persone, riconnettendosi con la loro emotività. Che non vuol dire cedere alla dialettica della paura e dello scontro, ma dimostrarci capaci di disegnare e progettare qualcosa di alternativo. Ma questa alternatività si può creare solamente se la si smette di cercare di conservare il proprio orticello – ormai impoverito – e si cerca un’apertura alla società civile, alle associazioni, al terzo settore, alla cittadinanza; se si mettono nuovamente a tema argomenti magari scomodi, ma di cui dobbiamo necessariamente venirne a capo.

Sicuramente dobbiamo farci portatori di un modo di intendere il mondo in maniera diversa da quello che sta emergendo; e questo non si fa inseguendo i rigonfiamenti (perché di questo si tratta, non di chissà quale reato) di un curriculum o sottolineando le contraddizioni di un’alleanza che – ce lo dobbiamo dire – abbiamo contribuito a creare.

Per questo auspico nel più breve tempo possibile un congresso vero, fatto su contenuti reali e non sulle persone, con l’obiettivo – che deve essere comune – di tornare a dare una visione alternativa dell’Italia.

Giordano Ghioni
Segretario del Circolo PD “Enrico Berlinguer” di Cormano

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