Richiedenti asilo, immigrati, Centri di Identificazione ed espulsione, Centri di accoglienza, Hub regionali …. un groviglio di sigle accompagna il mondo degli immigrati e dei richiedenti asilo che ormai quotidianamente e da molti anni arrivano sulle nostre coste alla ricerca di un posto migliore. Scappano da tutto e da tutti: guerre, povertà, sfruttamento, dittature …
Nel solo 2016 sono stati oltre 180mila gli arrivi in Italia mentre 170mila quelli dalla rotta greca, anche se negli ultimi mesi del 2016 è andata azzerandosi; oltre 25mila i minori non accompagnati. E tanti quelli che non riescono ad arrivare: si stimano in oltre 5mila i morti nel Mediterraneo, un terzo in più rispetto all’anno precedente.
Martedì 21 abbiamo provato a ragionarci con chi, sindaci in primis, vivono e gestiscono l’emergenza. Ugo Vecchiarelli, sindaco di Bresso, sul quale territorio sorge l’unico HUB di smistamento regionale, Tatiana Cocca, sindaco di Cormano e Fabio Pizzul, giornalista e consigliere Regionale del PD.
Tutti concordano su un punto semplice ed essenziale: quella che stiamo vivendo non può essere più vista e gestita come una emergenza. La politica, da quella nazionale a quella regionale, deve mettere in campo risorse e strumenti per permettere gli enti locali di fare bene il lavoro dell’accoglienza. Meglio della micro accoglienza: pochi immigrati, in proporzione ai residenti, dislocati sul territorio per evitare ghettizzazioni.
Eppure le strutture grandi non mancano: caserme non più in uso attendono, da troppo tempo, il passaggio da demanio militare a quello civile. Questo permetterebbe di avere più centri di smistamento e consentire un lavoro più fluido.
Ma la sensazione che i sindaci hanno è quella di essere lasciati soli: svegliati nella notte vengono avvisati all’ultimo momento dell’arrivo di richiedenti asilo. Questo non permette un secondo ed importante lavoro: quello di preparare il territorio all’arrivo coinvolgendo la scuola, le associazioni di volontariato, la cittadinanza in generale.
Entrando nel merito della questione, Pizzul ci segnala la mancanza di accordi bilaterali con tanti paesi di provenienza, senza i quali diventa praticamente impossibile il rimpatrio; la mancanza di una cooperazione internazionale degna di questo nome; accordi con paesi di transito, che rischierebbero comunque di fare chiudere un occhio sulla realtà di quei paesi. Insomma: una situazione più complicata dei semplici slogan che spesso si sentono in televisione.
Non meno importante è la necessità di coinvolgere i richiedenti asilo in attività di utilità sociale senza sfociare nello sfruttamento. Se questi futuri cittadini si sentissero comunque parte di una comunità, anche la comunità potrebbe avere un diverso modo di vedere le persone.
Un tema non facile, quello affrontato. E che per essere capito deve essere isolato dalle caricature e dai luoghi comuni che spesso lo accompagnano